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Cosa rimarrà del made in Italy dopo la crisi

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Il Made in Italy è in crisi. Quale futuro lo attende? Sono in molti a chiedersi se la specificità italiana rimanga un’isola felice o piuttosto non sia destinata miseramente a scomparire.

La produzione italiana, infatti, è messa in crisi dai mercati asiatici, che sono tanto produttori, quanto consumatori. Il tratto distintivo della produzione asiatica di serie, specie in Cina e a Taiwan, è dato dal fattore imitazione. Questo aspetto non riguarda tanto la copia in serie di un prodotto nostrano: questo, paradossalmente, capita più in America, per esempio con i cibi spazzatura fatti passare per italiani e che italiani non sono (il famigerato parmesan, in luogo del parmigiano reggiano). La copia è più nei processi produttivi di alta tecnologia, resi possibili dal fatto che le grandi aziende tecnologiche hanno spesso delocalizzato in Cina per abbattere i costi di produzione, mantenendo il design in sede (si pensi al celebre caso Apple / Foxconn). I cinesi che stupidi non sono, non ci hanno messo molto a realizzare le loro versioni di iPhone e iPad e non può sorprendere che oggi il primo produttore mondiale di Computer, sia un marchio cinese: Lenovo. L’Italia ha quindi due strade davanti a sé: o lottare per mantenere la produzione insieme al design in Italia, continuando a formare maestranze specializzate, che sono il cuore del made in Italy, oppure delocalizzare, scegliendo di progettare in Italia, ma costruire all’estero. Il destino più oscuro sarebbe quello nel quale perde talmente tanto peso, diventa così povero, che esso stesso diventa una sorta di Taiwan moltiplicato per tre, nel quale la dicitura “made in Italy” non è più sinonimo di garanzia e creatività, ma di collasso e crollo economico, di convenienza del lavoro, per dirla in breve.

Una via di uscita da questa situazione non può essere rappresentata solo dalla tanto pubblicizzata solidità finanziaria, che ha portato sulle spalle e in trionfo il governo dei tecnici. Non può esserlo perché l’economia non è fatta di banche, ma di gente che lavora. In particolare, l’istituto finanziario dev’essere lì affianco a supportare idee, non a generarle o distruggerle. Deve cioè rendere possibile l’impresa, affiancarla, per dare modo alla stessa di sbocciare e creare nuove opportunità. In questo paese del domani il made in Italy deve continuare a essere sinonimo di originalità e inventiva, di qualità e bellezza, almeno per salvaguardare una delle poche cose buone rimaste nel nostro disastrato presente, fatto di corruzione, illegalità e perdita di competitività mondiale.

In questo senso quindi molto dipenderà dagli indirizzi futuri del prossimo legislatore, da quelle che si chiamano “le priorità programmatiche”. Una fase dei primi 100 giorni forte e sostenuta, di vera e propria inventiva, potrebbe accorrere in soccorso della nostra malandata produzione domestica. Forse anche gli ultimi 100 giorni del governo tecnico, liberato dall’ansia delle promesse elettorali, potrebbero incidere in maniera significativa per il meglio.

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Category : Economia
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