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Referendum Mirafiori: un si a malincuore

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Se l’esito del referendum sarà negativo e, secondo Marchionne «le possibilità sono moltissime», si ricorrerà ad una delocalizzazione di Mirafiori: Il Canada o gli Stati Uniti le possibili nuove destinazioni dello stabilimento torinese.

Immediata la replica del segretario della Fiom, Maurizio Landini, che esorta il Pd a prendere una posizione netta nei confronti del referendum cui sono chiamati a pronunciarsi i lavoratori. Bersani fa sapere a breve giro di posta che è necessario «rispettare l’esito del referendum di giovedì e venerdì e mettere mano urgentemente a regole di rappresentanza che garantiscano sia l’esigibilità degli accordi, che i diritti individuali e i diritti sindacali di chi dissente».

Eppure, sebbene quella della Fiat sembra almeno all’apparenza una partita tutta da giocare, la realtà dei fatti mostrano evidenze decisamente meno democratiche. Le dichiarazioni di Marchionne continuano a mettere alle strette i lavoratori. Si impongono decisioni che, per necessità, dovranno essere accettate ma non mancheranno di lasciare l’amaro in bocca a tutti i dipendenti.

Una scelta di questa entità non dovrebbe prescindere dall’obiettivo di raggiungere un accordo costituito da un’unione di idee condivise e che rappresentano un punto d’incontro tra le necessità dell’una e dell’altra parte. Questo non è quello che sta accadendo. Si stringe il cerchio intorno ai salariati, l’unica alternativa è un “si” che, per i suoi connotati, difficilmente avrà l’effetto di suscitare nella classe operaia un miglioramento dell’efficienza operativa, anzi, semmai sarà motivo di ricominciare, ancor più sfiduciati di prima. Si vota sì ma non perché veramente in accordo con le scelte dei vertici ma per difendere il posto di lavoro e continuare a garantire uno stipendio alla propria famiglia.

MG Gargani

Movimento Unione Italiano

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